Un articolo di Dimitri Buffa.
Da L'OPINIONE del 18 ottobre 2007.
In Iran, se sei donna e sei costretta a commettere un omicidio, preterintenzionale, per legittima difesa da qualcuno che tenta di stuprarti, vieni giustiziata senza pietà.
La vita della povera Fakhte Samadi ieri si è conclusa così, con un’impiccagione pubblica a Teheran, senza che un cane occidentale le avesse dato una mano a sfuggire alla morsa in cui era stata cacciata dalla legislazione shariatica e maschilista dello stato canaglia degli ayatollah.
Solo pochi giorni fa la resistenza iraniana in esilio aveva lanciato un appello per la donna, ma nessuno ha voluto aiutarla.
Certo non il ministro degli esteri Massimo D’Alema che non risulta essersi interessato del caso nonostante le numerose segnalazioni.
La storia di lei, Fakhte Samadi, si esaurisce in poche righe di biografia, prima della tragedia: la donna aveva alle spalle un matrimonio fallito e si era trasferita dalla sua città nativa, Isfahan, dopo il divorzio dal marito, a Teheran per costituirsi una vita più tranquilla, facendosi assumere in uno studio dentistico come segretaria.
Non lo poteva certo immaginare che avrebbe incontrato in quello studio dentistico di Teheran il proprio infausto destino.