Il Blog di Incontrare Gesù

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Una Poesia di Rosaria Schirmenti.

Alimento di vita da assimilare con la mente e il cuore, che a sua volta produrrà frutti di riconoscenza e amore.
di Rosaria Schimmenti

Amare la vita e tutto ciò che è bello.
Arricchire i nostri occhi, alimentare la nostra mente con i doni del creato,
che rivelano amore e generosità.
Amare i fiori con la varietà dei colori e i suoi profumi soavi.
Amare il mare con le sue onde spumeggiante,
che ci alimenta dell’ossigeno e dello iodio in ogni istante.
Amare il cielo azzurro e limpido che rispecchia la purezza del creatore e,
il sole che ci dona luce, vita e calore, arricchendoci di bellezza e di splendore.
Amare i prati verdi, i ruscelli, i fiumi , i laghi, le montagne e le colline,
che sembrano dirci: noi viviamo ed esistiamo per rendervi felici.
Amare la varietà delle creature volatili del cielo e tutti gli animali dei campi,
che con la loro bellezza,
e i cuccioli giocherelloni ci rallegrano, trasmettendoci gioia e tenerezza.

E cosa dire ancora di altri doni e talenti che Dio ha dato all’uomo?
Della buona musica, l’arte, la varietà delle razze, i costumi, e il dono di procreare?
Le coppie di fidanzati che si amano, si sposano e formano famiglie?
La bellezza dei bambini con i loro sorrisi dolci e genuini che sensibilizzano i nostri cuori?
Questi e altri buoni doni Dio ci ha arricchiti come alimento di vita,
per incamminarci nel suo sentiero e poter ottenere anche noi un esistenza infinita.
La personalità e il carattere del Creatore è evidente.
Egli è luce, gioia, bellezza, generosità e amore, per questo è vitale è immortale.
A noi sue creature ci ha anche donato un anima, il Signore,
ci ha donato un cuore.
Ci ha donato dei sentimenti,
per esprimere la pace e il suo divino amore.
Assimilare la sua personalità è necessario,
per sconfiggere sofferenza e mortalità,
infatti è il primo comandamento che Gesù Cristo ci ha dato,
il secondo comandamento e simile:
ama il prossimo tuo come te stesso.
Apriamo la finestra del nostro cuore
e lasciamo entrare il sole della bellezza,
della gioia e dell’amore del nostro divin Signore.
Evangelizzazione

Un messaggio di Nicola Scorsone. 

Nel tempo religioni e sette, con le loro leggi sulle cose da fare e le cose da non fare, hanno indicato vie per giungere a questo fine.
Con pellegrinaggi a piedi nudi diretti verso porte sante in Roma, o alla Mecca, non mangiando carne il venerdì o il maiale, accendendo mille candele a infinite statue di Madonne, Buddha, Confucio, Stalin..., non facendo trasfusioni di sangue... facendo così della salvezza dell’anima qualcosa di molto complicato e irraggiungibile, tanto che pochi, a parte i tradizionalisti, ci si vogliono dedicare veramente.

Ed ecco l’unico vero modo sicuro indicato dalla Parola di Dio, la Bibbia: “La parola è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore.
Questa è la parola della fede che noi annunziamo; perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati.
Difatti la Scrittura dice: «Chiunque crede in lui, non sarà deluso»... Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato” (Romani 10:8-13).

Questa è l’unica verità che apre le porte del Paradiso, infatti il primo a varcare quella soglia insieme a Gesù fu quel ladrone crocifisso al Suo fianco, che niente fece, niente aveva fatto delle cose menzionate, e niente avrebbe potuto fare per meritarsi tale celestiale beatitudine.
Questi, confessando semplicemente di essere un peccatore giustamente condannato, domandò salvezza a quell’unico che poteva compierla, Gesù.
Come quel ladrone, il Paradiso non lo merita nessuno, il prezzo da pagare è molto alto, dal valore eterno.

Gesù solo, pagando con la vita, al nostro posto, poteva coprire e cancellare l’alto prezzo della giustizia divina. Fu così che quel ladrone, da circa 2000 anni, passò dalla croce alla beatitudine del Paradiso, perché: “...Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori...” (1Timoteo 1:15).
Sei tu salvato?
Tutti quelli che avranno seguito le tradizioni descritte al principio alla fine saranno delusi.
Solo chi crede in Lui, in Gesù, per come sta scritto, riceve vera salvezza e non sarà deluso.
Non sprecare gli anni della tua vita per un’insicurezza religiosa, affida la tua anima a Gesù e non rimarrai deluso.
POESIE
Una poesia di David Pierini.

Giorni terribili… giorni di vendetta…
giorni di tenebre senza splendore alcuno.
Il pastore porta il gregge verso il precipizio,
il padre consegna a morte eterna il figlio.
L’inferno ha dilatato le sue fauci
ha spalancato le sua bocca oltremisura.
Vi scende il clero, la nobiltà e il popolo,
il benessere, il chiasso e l’allegria.
POESIE
Una poesia di Stefano Gumucio (politico cileno).

E’ successo qualcosa alla mia futura morte con la risurrezione di Gesù Cristo.
Prima che venga, io posso anticiparla e soffiare la vita alla morte.
Posso dirle: non mi puoi prendere la vita,
semplicemente perché io posso darla prima che tu venga.
Gesù mi ha insegnato a darla tutta intera, corpo e anima.
Quando verrà, la morte avrà in mano un pugno di mosche, un cadavere non me.
Il mio corpo è già del Signore, gia dal battesimo.
Le mie membra vive sono del Risuscitato.
Sono unito, corpo e spirito, alla vera vita.
La morte non può portarmi via, perché sono nelle mani della vita.
Quello che porteranno al cimitero non sarò io,
che tenga pure la morte il mio corpo e disfi sotto terra ciò che è terra,
ma me come persona non mi può toccare,
il mio amore non può essere consumato dai vermi.
Ho imparato da Cristo a dare tutto me stesso e tutto ciò che è dato resterà per sempre,
cento per cento nel Dio vivo.
Ehi, morte , dov’è la tua vittoria?
Sto imparando a guardarti in faccia,
ho capito che sulla croce sei stata sconfitta.
Assicurato da Gesù risuscitato,
io ti guardo come un bambino guarda i leoni in gabbia dalle forte braccia di suo padre.
Talmente incorporato al primo che è nato dai morti,
ho messo tutto me stesso nel suo corpo e sangue.
Io condivido già la mia vita nuova nel mio Signore e amico:
il mio mondo, gli occhi, le parole e le idee, le mie intuizioni e i miei dubbi,
le gioie e le pene, le mie azioni e gli affetti,
il meglio di me stesso e il lato debole, la mia carne e il mio spirito,
e anche le oscure profondità del mio essere.
Che cosa ti resta o morte?
Solo un po di polvere, tu sei solo il telaio, la porta è il mio Signore.
Resta di qua il tempo, la durata, il consumare,
passo di là e si rompe ogni limite e incomincia la interminabile novità.
Vado con Cristo, per adesso mi basta il suo cammino da povero,
sono trasfigurato, nuovo, sono me stesso, in maniera gratuita,
mi sento vincitore e vinto.
Cristo mi ha conquistato e mi ha preso per sè,
io non sono più tuo, oh morte.
Così anche tu, umilmente sconfitta mi sei diventata come una sorella,
sorella morte,
piccola e grigia operaia della nostra risurrezione.
CHI IMPUGNA LA SPADA DELL’ISLAM? 
Parlare dell’uccisione di centinaia di migliaia cristiani da parte di musulmani, soprattutto negli ultimi trent'anni, significa sempre e solo raccontare morti annunciate.

Un’opinione, questa, che qualunque lettore può trarre agevolmente dalla pubblicistica internazionale, visto che chi studia l’escalation dell’intolleranza islamica è sempre obbligato dai fatti a mettere in parallelo le esplosioni di violenza con l’espansione del proselitismo wahhabita saudita.

Perché, un altro fatto certo è che dell’estremismo islamico conosciamo la data e il luogo di nascita.
E’ l’Arabia Saudita di fine anni Cinquanta, quando re Faysal partorì l’idea di creare un sistema per controllare politicamente e religiosamente il mondo islamico.

Il wahhabismo nasce, nel 1744, dall'unione tra Ibn Wahhab, un predicatore islamico fondamentalista, e un emiro, Muhammad Ibn Saud, al quale Wahhab iniziò a fornire una giustificazione teologica per quasi tutto quello che Ibn Saud desiderava ottenere: una jihad permanente che prevedeva il saccheggio delle altre città musulmane, l’imposizione di una severa disciplina e infine l’affermazione del proprio potere sulle tribù vicine, unificando la Penisola Arabica.

L’emiro e il predicatore suggellarono un «mithaq», un accordo che sarebbe stato onorato per l’eternità. Prevedeva il fervore religioso al servizio dell’ambizione politica, ma non viceversa.
E i risultati non si fecero attendere: nel 1801 primi a essere presi di mira furono gli «eretici» sciiti, con l’assalto della città santa di Kerbala e lo sgozzamento di 5 mila fedeli.
Nel 1802 fu la volta di Taif e relativo massacro della popolazione.

Poi venne il turno della Mecca, con la distruzione della tomba del Profeta e dei califfi.
Secondo molti studiosi, agli inizi del Novecento i sauditi persero la fama e il ruolo di capitribù ladroni, perché l’agente britannico John Philby convinse la corona britannica a sostenerli militarmente per la loro disponibilità, a differenza degli altri leader arabi, ad accettare un rapporto di vassallaggio con gli inglesi.

Lo storico arabo Said K. Aburish ricostruisce così l’occupazione saudita delle terre sacre ai musulmani del mondo intero: "Tra il 1916 e 1928 nella terra di Maometto ebbero luogo non meno di 26 ribellioni contro i Saud.
Agli inizi degli anni Trenta, su una popolazione di circa 4 milioni di persone, 1 milione fuggirono, 400 mila furono uccise o ferite in combattimento, 40 mila furono giustiziate pubblicamente, 350 mila patirono amputazioni".


Anche oggi tutti i musulmani sanno molto bene cosa significhi il «rakban», la spada che campeggia sulla bandiera degli Ibn Saud, e cosa essa comporti quando inizia a sventolare su una moschea.
Nel 1962 Faysal convocò la Conferenza Islamica dalla quale fece nascere la Lega Musulmana Mondiale, legittimando la Fratellanza Musulmana e dando inizio all'esportazione del wahhabismo.

Scopi dichiarati: sostenere l’espansionismo wahhabita con il finanziamento di moschee, madrasse, servizi sanitari, e favorire l’applicazione della sharia a individui, gruppi o stati e ad «altre istituzioni».
Sui media occidentali passa in sordina il fatto che i regnanti sauditi, oltre al titolo di «guardiani dei luoghi santi», custodi cioè della Mecca e di Medina, si ritengono anche meritevoli di al-Mufada («colui che merita la devozione»), Mawlana («il detentore dell’autorità divina ultima»), Waly al-Amr («colui che decide tutte le cose»).

Anche dopo la vicenda delle vignette danesi, secondo molti, studiata a tavolino dagli «esperti» della Lega Mondiale Musulmana, la genesi del terrorismo islamico continua a essere sepolta sotto una montagna di spiegazioni politico-sociali, sempre più destinate, di fronte all'evolversi dei fatti, a trasformarsi in questioni di lana caprina: il problema palestinese, la fine del socialismo arabo, il fallimento del nazionalismo riformatore nasseriano, la corruzione endemica, la crisi del patto tra sistema anglosassone e panarabismo, il rifiuto dell’egemonia occidentale...

In realtà, con forse l’unica eccezione dell’Afghanistan dei talebani, i grandi movimenti di massa del fondamentalismo islamico e i terroristi, che per deviazione ne derivano, si sono affermati nei paesi islamici a più alto reddito, come è successo a Giava, ricca e, fino ad allora, pacifica regione Indonesiana. Nel 1996 viene fondata la wahhabita Laskar Jihad, nel novembre 1998 iniziano a bruciare le chiese.

Nel dicembre dello stesso anno, e dopo una trentina di giorni delle solite manifestazioni indette nelle moschee finanziate dai sauditi, saranno 500 le chiese date alle fiamme nella sola Giava.
A queste vanno aggiunte le 22 chiese bruciate e 13 cristiani uccisi nella capitale Giacarta, il giorno di Natale di quell'anno.

Un Natale di sangue anche per la città di Poso, nella regione di Sulawesi, con 180 case e negozi appartenenti a cristiani distrutti in un solo giorno.
Ma a Poso i cristiani non avevano ancora visto il peggio: il giorno di Pasqua del 2000, oltre a una gravissima serie di violenze anche su donne e bambini, alle quali la polizia assiste senza intervenire, altre 800 case e negozi di cristiani vanno in fumo.

Un mese dopo il 23 maggio 2000, i cristiani sono di nuovo assaliti dalla solita folla islamica e questa volta muoiono 700 persone.
Basta seguire la cronologia delle persecuzioni islamiche anticristiane per scoprire che esse sono avvenute, e continuano ad avvenire, in paesi, anche europei, dove la convivenza tra le fedi non presenterebbe particolari problemi, se non fosse gravata dall'espansionismo wahhabita.

Il problema fra Occidente e Islam sembra quindi destinato a coagularsi soprattutto sul come e dove il wahhabismo troverà, magari dentro le ampie maglie delle democrazie avanzate, terreno per porre i segni del suo imperialismo.
Finora sappiamo che, per molti esperti, i segni del wahhabismo si trovano dietro colpi di stato, come quello a danno del Pakistan di Zulficar Alì Bhutto e a vantaggio del fanatico Zia ul Haq e la sua sharia; e anche alle radici dei fragili equilibri di intere nazioni africane.

Dopo il Sudan, primo e tragico banco di prova del modulo wahhabita di alleanza tra spada (il generale Bashir) e l’Islam (il teologo alTourabi), è stato il turno di Nigeria, Benin, Camerun, Burkina Faso, Somalia, Eritrea, Kenya.
Con la guerra afghana ha saputo organizzare e finanziare un network mobile internazionale che si è visto all’opera in Cecenia, Bosnia e Algeria.
Nelle aree da loro controllate la convivenza tra le fedi è impossibile, la libertà di culto è improponibile, le minoranze sono perseguitate, i diritti elementari di libertà sono negati.

Su questo orizzonte certamente pieno di nuvole, avverte Nigrizia, la più antica e più autorevole rivista terzomondista italiana, «ragionando di Islam e di Occidente, vanno evitate due opposte prese di posizione, entrambe comprensibili, ma parziali e quindi fuorvianti: la prima vede nelle innegabili difficoltà una sorta di destino segnato che porterebbe le nostre rispettive civiltà a un rinnovato scontro frontale senza rimedio; la seconda finge di non avvedersi della delicatezza e della complessità dei problemi rifugiandosi in un generico e ingenuo atteggiamento fiducioso e conciliante.

In altre parole, c’è ancora un margine per trattare, ma bisogna fare presto.
Lo scrittore premio Nobel Vidiadhar Naipani ha scritto: «Bisognerebbe esigere risarcimenti dall'Arabia Saudita.
Bisognerebbe ritorcergli l’argomentazione: se una nazione viene attaccata da terroristi islamici, tutti i paesi islamici sono responsabili e devono pagare.
Non tocca alle vittime pagare, tocca agli aggressori».
Forse è una ricetta un po dura, ma almeno è chiara.
Da AGENZIA RADICALE del 28 ottobre 2007. 

Una lectio magistralis di Shlomo Avineri. 
"Roma è sempre stato un centro importante per i rapporti con Israele.
Gli ebrei hanno un debito nei confronti del Risorgimento italiano, poiché sono stati da esso ispirati nella creazione del Sionismo moderno.
L'unità d'Italia è avvenuta, ora bisogna pensare a quella israeliana".
Così Shlomo Avineri ha aperto la sua Lectio Magistralis dal titolo: "Lo sviluppo della Democrazia politica e il processo di pace in Medio Oriente", tenutasi nell'aula magna dell'università di Roma Tre.

Professore di Scienze politiche all'università ebraica di Gerusalemme, autore di alcuni saggi, tra cui "La teoria hegeliana dello Stato", è anche collaboratore di diverse testate israeliane, i cui articoli vengono talvolta tradotti anche in italiano, nonché importante promotore dei rapporti tra la sinistra italiana e quella israeliana, confluiti anche in alcuni volumi che sono stati parte del dibattito svoltosi negli anni '80 per riequilibrare la concezione unilaterale di Israele nella sinistra italiana.
Secondo Avineri Israele è nata come democrazia e si è saputa mantenere tale, nonostante i numerosi problemi, non solo quelli insiti in tali forme di governo, ma anche quelli che ha dovuto affrontare dall'inizio fino ad oggi.

L'analisi di Deborah Fait. 

Nessuno lo ha mai sentito parlare di cultura, scienza o sport probabilmente perche' non sa cosa dire, ha chiesto ripetutamente a Ehud Olmert di essere mandato come emissario di pace in Siria, passa il suo tempo in giro per i paesi arabi a fare promesse a nome di Israele, naturalmente senza alcun mandato.
Sto parlando di Gahleb Majadele, sfortunato regalo a Israele del partito laburista, dopo quello devastante di Amir Perez.

Majadele diventato non si sa come ministro della cultura, scienza e sport, ministero di cui dovrebbe occuparsi ma che dimentica di avere, troppo impegnato a viaggiare (anche a spese mie!) in lungo e in largo per i paesi arabi nemici.
E' arabo e nessuno lo tocca, chi lo fa rischia di essere tacciato di razzismo!
Col solito ritornello che noi siamo democratici e che lui, parte della minoranza araba, può fare ciò che vuole, Majadele è arrivato a promettere, a nome di non si sa chi, ma purtroppo come ministro di Israele, la svendita del nostro Paese.

Ricordo che, sempre in nome della nostra democrazia, non si poteva toccare nemmeno Azmi Bishara, ex deputato arabo della Knesset, che andava in giro a diffamare Israele, abbracciava siriani e hezbollah dicendo che facevano bene a fare di Israele l'obiettivo dei loro missili.
Qualche suo "antidemocraticissimo" collega protestava, lo definiva "traditore", chiedeva gli fosse proibito di viaggiare in paesi nemici, ma tutto si fermava di fronte alle urla dei deputati arabi che in piedi e istericamente urlavano "fascist" al malcapitato.

Meditazioni

Una Riflessione di Ken Ham. 

Sono così allegre e simpatiche, e compaiono dappertutto: in ornamenti, spille, collane, nelle illustrazioni dei libri per bambini, nei dipinti murali nelle scuole materne e nelle stanze per i bambini dei locali di culto…
Illustrano il racconto dell’Arca di Noè, ma in un mondo che si fa beffe dell’idea di un Diluvio mondiale e di un uomo di nome Noè, che salvò la sua famiglia, insieme con gli esemplari di tutti gli animali terrestri, su un’imbarcazione gigantesca.
Ma che cosa comunicano realmente queste “Arche da vasca da bagno”?

Consideriamo alcune delle lezioni solenni che dobbiamo imparare dal racconto di Noè e del Diluvio in Genesi capitoli 6–9:
1) Il Diluvio fu un giudizio di Dio, mandato a causa della malvagità degli esseri umani; ci ricorda che l’uomo è responsabile dei propri peccati e che deve fare i conti con il giudizio di un Dio santo.
2) Il Diluvio ci ricorda che un giorno ci sarà un altro giudizio universale, questa volta però mediante il fuoco (2Pietro 3:10) e che tutti gli esseri umani dovranno presentarsi davanti al tribunale di Dio.
3) L’Arca ci ricorda il messaggio della salvezza: come Noè e la sua famiglia dovettero passare attra­verso una porta per essere salvati dal diluvio a bordo dell’Arca, così Dio ha fornito un’Arca di salvezza per ciascuno di noi, perché possiamo essere salvati dal giudizio che viene, nel quale molti saranno condannati all’inferno; oggi la nostra “Arca” è il Signore Gesù Cristo, il quale disse: “Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e uscirà, e troverà pastura” (Giovanni 10:9).

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