Il Blog di Incontrare Gesù

Articoli di attualità, esperienze personali e meditazioni su argomenti etici morali, sulla fede cristiana e sulla religione in generale.

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Una caratteristica che si manifesta nella persona che rifiuta Dio è quella di rifugiarsi nell'autosufficienza. 

Lettura e preghiera
Nella nostra epoca moderna, questa caratteristica si evidenzia nel concetto espresso dalla frase: “Credi in te stesso”; e ancora: “Yes, we can! (Ce la facciamo!)”.

La Bibbia invece dice: “Poiché se alcuno si stima esser qualcosa pur non essendo nulla, egli inganna se stesso” (Galati 6:3).

Un uomo avviluppato in se stesso forma un involucro molto piccolo.

Dio non ci ha creati in modo da essere autosufficienti, ma con la necessità di relazionarci con Lui e con gli altri. 

La cosa più ragionevole da fare è quella si essere sempre dipendenti da Dio, che ci affidiamo alle Sue braccia eterne.

Il re Davide pregava dicendo: “Poiché a te sono volti gli occhi miei, oh Signore, in te mi rifugio” (Salmo 141:8).

Quando, come credenti, diciamo: “Io posso ogni cosa…“, dobbiamo sempre aggiungervi le parole dell’Apostolo Paolo: “…in Colui che mi fortifica” (Filippesi 4:13).

La Parola di Dio descrive così la persona presuntuosa: “Poiché tu dici: io sono ricco e mi sono arricchito, e non ho bisogno di nulla, e non sai che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo” (Apocalisse 3:17); e ancora: “Poiché è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio; non è in virtù di opere, affinché nessuno si vanti” (Efesini 2:8-9).

Non ci si può salvare sa soli!

In sostanza, nella nostra vita, dove siamo sempre rapportati con Dio, anche quando non ne siamo consapevoli, dobbiamo avere sempre un atteggiamento di umiltà verso di Lui, e una consapevolezza del Suo amore e sostegno. 

Molte persone si vantano delle loro buone virtù, ma la Bibbia dice che le nostre buone opere e la nostra giustizia sono come cenci sporchi agli occhi di Dio.

Non possiamo neanche arrivare al Cielo mediante le nostre buone azioni; abbiamo bisogno di Dio sia per vivere sulla Terra che per andare in Cielo. 

Davanti a Dio non ci sono diverse categorie di persone: santi e infedeli, meritevoli e ribelli, brave persone, persone onorate, persone ingenue e giustificabili, delinquenti, etc.: siamo tutti PECCATORI.

Noi riceviamo la Salvezza ed il perdono dei peccati SOLO per mezzo della Grazia di Dio per i meriti di Gesù Cristo, e solo così possiamo incominciare a fare veramente la volontà di Dio.

Lo scrittore Isaac Asimov (anti-creazionista fervente) dichiarò: “Dentro l’uomo c’è un cervello di 1300 grammi che, per quanto sappiamo, è l’insieme di materia più complesso e più ordinato nell'universo, ed è enormemente più sofisticato del computer più potente mai costruito“. 


Creazione o evoluzione
Non sarebbe logico supporre che, se il cervello intelligente dell’uomo ha progettato e realizzato il computer, allora anche il cervello umano è stato a sua volta progettato?

Gli scienziati che respingono il concetto di un Dio creatore sono d’accordo nel fatto che tutti gli esseri viventi mostrano l’evidenza di un progetto; accettano l’argomento del Paley, che dice che “tutto fu progettato”, ma non accettano il Progettista di Paley.


Ad esempio, il dott. Michael Denton, medico scienziato non cristiano con una laurea in biologia molecolare, conclude che “l’universalità della perfezione e il fatto che dovunque guardiamo, non importa quanto profondamente o quanto lontano, troviamo un’eleganza ed una ingenuità di una qualità trascendente che mitiga contro l’idea che tutto è il risultato del caso. 
A fianco del livello di ingenuità e complessità esibito dalle “macchine” molecolari della vita, perfino i nostri manufatti più avanzati sembrano malfatti.
Ci sentiamo umiliati, tanto quanto si sentirebbe l’uomo neolitico alla presenza della tecnologia del ventesimo secolo, sarebbe illusorio pensare che ciò che vediamo nel presente superi di una sola frazione la totalità del disegno biologico. 
Praticamente in ogni settore di ricerca biologica fondamentale i livelli di progettualità e di complessità si rivelano più sofisticati man mano che si scoprono, sempre a una frequenza che aumenta parallelamente“.


Il dott. Richard Dawkins dell’Università di Oxford è ormai fra i protagonisti più notevoli della Teoria dell’evoluzione nel mondo intero, risultato della pubblicazione dei suoi libri, incluso “L’Orologiaio cieco”.

Questi afferma di poter dimostrare falsa, una volta per sempre, la nozione di un Dio Creatore, ma, volendo difendere la teoria moderna dell’Evoluzione, dice: “Abbiamo visto che gli esseri viventi sono troppo improbabili e troppo ben disegnati perché siano il risultato del caso“.

Senza dubbio anche l’ateo più convinto concorda che è evidente un “progetto superiore” negli animali e nelle piante del nostro pianeta. 
Allora, se molti scienziati respingono il “caso” nel progetto, con chi o con che cosa si può sostituire questo “caso” se non si accetta il Dio creatore? 

Può accadere in un istante o dopo un’attesa di alcuni mesi, ma ben presto mi troverò alla presenza del Signore, in Paradiso.  

Allora in un battibaleno tutte le cose appariranno sotto un’altra prospettiva.

Improvvisamente le cose a cui avevo dato importanza: gli impegni dell’indomani, i piani per il servizio della mia chiesa, il successo o il fallimento nel piacere al mio prossimo, etc., non avranno più valore.

Le cose alle quali avevo dato appena un po’ di considerazione: la testimonianza sul Cristo ai miei vicini di casa, i momenti (per quanto brevi) di fervida preghiera per il lavoro del Signore nelle terre lontane, la confessione e l’abbandono di quel peccato segreto, etc., mi appariranno reali e durature.


Cinque minuti dopo il mio arrivo in Cielo sarò conquistato dalla verità che avevo conosciuta, ma in realtà mai afferrata; comprenderò il fatto che sono in Cristo sarà la cosa più importante con Dio, e che quando ero in giusto rapporto con Lui facevo le cose che Gli piacevano.

Mi renderò conto che è importante, non quanto ho dato, ma come ho dato… e quanto ho trattenuto.

In Cielo desidererò con tutto il cuore di poter riavere una millesima parte del tempo che mi sono lasciato sfuggire di mano, di richiamare le innumerevoli conversazioni nelle quali avrei potuto glorificare il mio Signore e non l’ho fatto.


Dopo cinque minuti dal mio arrivo in Cielo, credo che bramerò con tutto il mio cuore d’aver impiegato il mio tempo più fedelmente alla lettura della Bibbia e alla preghiera, e che io avessi conosciuto Dio quando ero ancora sulla Terra, così come Egli desiderava che Lo conoscessi.

Migliaia di pensieri si affolleranno alla mia mente e, per quanto sopraffatto dalla grazia che mi dà accesso alla Patria celeste, mi interrogherò su quello che avrò vissuto di inutile.

Desidererò… se in Cielo si può desiderare… ma sarà troppo tardi.

Il Cielo è reale e anche l’Inferno è reale, e l’eternità è solo alla distanza di un soffio.

Presto saremo alla presenza del Signore, colui che asseriamo di servire.

Perché allora dovremmo vivere come se la Salvezza fosse un sogno, come se non avessimo piena conoscenza?

“Chi conosce il bene, e non lo compie, è colui che pecca“.

Forse c’è ancora un po’ di tempo, un nuovo inizio si apre davanti a noi.

Che Dio ci aiuti a vivere nella luce di un vero domani! 

Il Dio d’Israele si rivela al suo popolo, ed oggi, anche a noi Gentili (non ebrei), come il solo e vero Dio che si prende cura di coloro che si affidano a Lui. 


Il Buon pastore
In tutta la Sacra Scrittura ci viene rivelato Dio che ama, che viene incontro alla condizione di fallimento dell’umanità e che si distingue dagli antichi e moderni falsi dei.

L’apice di tale dimostrazione di amore è raggiunto con la venuta, l’incarnazione, la morte e la resurrezione del Figlio di Dio Gesù Cristo.


Il Salmo 22(23) è a tutti famigliare: il suo messaggio consolatorio e ben noto persino tra i non credenti.

Questo Salmo fu scritto dal re Davide ed il suo passaggio più famoso è contenuto nel versetto di apertura: “Il Signore è il mio pastore: nulla mi manca“.

Questa breve affermazione ci offre un’altra riflessione sul carattere e sulla natura di Dio: la prima parte del versetto, in ebraico, è “Yahweh-Raah”, che significa il Signore Dio è il mio pastore; quindi, continua con un’immagine idilliaca del gregge tranquillo, senza mancamento di acqua e di erba, senza preoccupazione, né paura.

In abbinamento a questa immagine vi è il passo del profeta Isaia che descrive un gregge formato anche di agnelli fragili, deboli ed instabili; alcune pecorelle hanno difficoltà a camminare, altri soffrono; alcune pecore sono gravide ed altre ancora sono occupate per gli agnellini irrequieti: “Come un pastore Egli pascerà il suo gregge; raccoglierà gli agnelli in braccio, li porterà sul suo petto e condurrà le pecore che allattano” (Isaia 40:11).


In questi versetti Dio ci mostra una caratteristica della sua personalità, la quale desidera ci sia anche nei suoi ministri.

Cosa che nel corso dei secoli è venuta a mancare anche nell'antico popolo di Dio, come vediamo in Ezechiele 34:4 “Voi non avete rafforzato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella che era ferita, non avete ricondotto la smarrita, non avete cercato la perduta, ma avete dominato su di loro con violenza e con asprezza“.

In Ezechiele 34:6 “Le mie pecore si smarriscono per tutti i monti e per ogni alto colle; le mie pecore si disperdono su tutta la distesa del paese, e non c’è nessuno che se ne prende cura, nessuno che le cerchi!“.

In Geremia 50:6 “Il mio popolo era un gregge di pecore smarrite… avevano dimenticato il luogo del loro riposo“.

Ed ancora Isaia 53:6 “Noi tutti eravamo smarriti come pecore...“.


In quest’ultimo versetto, il “noi tutti” è riferito anche a me e te, che apparteniamo al gregge del Signore, ci siamo noi, i nostri fratelli, i nostri conduttori; ci sono credenti giovani che continuano ad inciampare ed a cadere; altri rallentano il loro cammino per portare i più giovani; altri sono ammalati, hanno bevuto acqua contaminata dalla fonte di qualche falso pastore; altri ancora se ne vanno in giro feriti; altri sono rimasti storpiati a causa dei vizi e delle concupiscenze; altri sono nudi, sono stati tosati da falsi pastori…

Tutte queste pecore malate e spezzate sono state riportate nel gregge dal Pastore stesso: Gesù (il capo della Chiesa); le ha dovuto prenderle, caricarle sulle sue spalle e riportarle al gregge.

Questo è il ruolo e la caratteristica del nostro grande Pastore, una caratteristica che giustamente gli da il titolo di Buono; come dice in Ezechiele 34:11-16 “Infatti, così dice Dio, il Signore: Eccomi! Io stesso mi prenderò cura delle mie pecore ed andrò in cerca di loro; come un pastore va in cerca del suo gregge il giorno in cui sarà tra il suo gregge disperso, così io andrò in cerca delle mie pecore e le condurrò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre. 
Io le pascerò in buoni pascoli ed i loro ovili saranno sugli alti monti d’Israele; esse riposeranno là in buoni ovili e pascoleranno in grassi pascoli sui monti d’Israele.
Io stesso pascerò le mie pecore, io stesso le farò riposare, dice Dio, il Signore.
Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, rafforzerò la malata…
Io salverò le mie pecore ed esse non saranno più abbandonate alla rapina; giudicherò tra pecora e pecora.
Porrò sopra di esse un solo Pastore che le pascolerà: il mio servo Davide; egli le pascolerà, egli sarà il loro pastore“.

Ancora una volta Dio parla chiaramente della necessità di un vero pastore che vigili sul suo popolo.

Naturalmente in Cristo Dio ha realizzato e realizza continuamente, anche questa sua promessa.

Gesù è il Buon Pastore che nutre e protegge il suo gregge.

Questa è una profezia che si realizza spiritualmente in Cristo e che si realizzerà materialmente per il popolo d’Israele, alla Resurrezione dei giusti.

Tutti coloro che hanno ricevuto una vita nuova in Gesù Cristo possiedono la cittadinanza celeste e, di conseguenza, sono diventati stranieri in questo mondo. 


Accogliere Gesù
Sono pellegrini di passaggio e aspirano alla patria eterna dove il Signore li attende.

Un tempo anche Lui era qui, tra di noi, mandato dal Padre per riscattare l’umanità perduta.

Il Vangelo di Giovanni ci riporta così: “La vera luce che illumina ogni uomo veniva nel mondo.

Egli era nel mondo; e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, ma il mondo non l’ha conosciuto” (1:9-10).

Continuando a leggere il seguito del passo, ci scontriamo con qualcosa di completamente fuori dalla norma: “E’ venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto…” (Giovanni 1:11).


In tutte le culture del mondo, il rientrare a casa, a casa propria, è generalmente sempre vincolato al calore famigliare, alla sicurezza, all'amore e all'affetto.

Gesù, però, non fu accolto così, e questo proprio “in casa sua”.

Era venuto nel mondo, creato da Lui stesso, in mezzo al suo popolo eletto, Israele. 

Tutta la Legge, la religione e la tradizione di quella nazione si protraeva verso il Messia che attendevano.

Adesso che era arrivato, non lo riconoscono, non lo ricevono, anzi, lo rifiutano.

Infatti, il suo parlare è “nuovo”, estraneo alla dottrina abituale.

Il suo agire mette in crisi i devoti e i capi religiosi; questo “straniero” meraviglia e fa arrabbiare.


Ma, ai nostri tempi, come è accolto il Signore Gesù?

Che cosa impedisce all'uomo moderno di riconoscere Gesù come signore della sua vita?

Un’immagine distorta della sua persona, della sua divinità e della sua opera di Salvezza si è insinuata in molte menti e in molti cuori delle persone di oggi; Gesù, per molti, è ancora uno straniero.

Il Vangelo di Giovanni continua: “Ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto, Egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli, cioè, che credono nel suo Nome, i quali non sono nati sa sangue, né da volontà di carne, ne da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio” (Giovanni 1:12-13). 


Alcuni sono nati in seno a una comunità cristiana e, così, per tradizione, fanno parte della Chiesa.

Si sente dire: “Siamo sempre stati una famiglia cristiana…“, ma dov'è la relazione intima e personale con Gesù?

Altri si sono fatti convincere sotto l’impulso emotivo in una particolare occasione ad accettare Gesù per alzata di mano, ma passata l’euforia del momento ritornano nella loro vita di sempre.

I più intenzionati si sono voluti impegnare con i loro studi di teologia e conoscenza delle dottrine cristiane, tanto che il loro sapere è ammirato e richiesto.

Ma è Gesù veramente nei cuori di questi?

Nascono da Dio solo quelli che ricevono e accolgono Gesù nei loro cuori, così come ci viene offerto da Dio, dietro un vero pentimento e ravvedimento; perché Dio, che scruta i cuori, vede quali sono le nostre intenzioni e le nostre motivazioni.

Perché il tema aborto dà alla testa a un giovane medico dell’ospedale di Monza al punto da venire alle mani con dei vecchietti pro life che manifestano pacificamente? 


Qualcosa di poco bello sta succedendo alla società

Quattro vecchietti davanti all'ospedale San Gerardo di Monza. 
Pregano e inalberano cartelli ostentando opposizione all'aborto. 
E va bene, questo è uno stile pro life che anche a molti pro life non piace. 
Ma tu sei un medico. Un giovane medico trentenne che ti avvicini a questi quattro vecchietti, ti metti a gridargli addosso. 
Finché non venite alle mani e finite al pronto soccorso. 
Adesso siamo alle denunce e contro denunce.

Ma scusa, vieni alle mani con dei vecchietti? Non è che ci vuole molto a capire che c’è tanta gente – compreso il sottoscritto – che considera questo stile di manifestazioni pro life davanti agli ospedali per niente convincente. Perché? Non c’è bisogno che te lo spieghi. Lo porta con sé l’evidenza.

Il problema è che azzuffarsi con un vecchietto rivela una intolleranza molto seria. E per di più sei un medico! Chiaro che il tema aborto è qualcosa che ti dà alla testa. Ma se ti imbattessi in corsia con un pro life come paziente cosa devo pensare possa accadere?

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Maschere di carnevale


Una brutta caratteristica della società di oggi è che la maggior parte delle persone assorbe facilmente quello che viene proposto, presentato, o pubblicizzato, su mode, tendenze, usi, costumi, feste, eventi, etc..

Il comune denominatore però deve essere lo svago, il divertimento, o qualcosa che porta all'alienamento dal negativismo della monotona vita di ogni giorno, o dalla mancanza di obbiettivi e aspirazioni.

Nella maggior parte di questi casi si riscontra poco interesse e mancanza di desiderio di voler vedere a fondo quello che sta “dietro le quinte”, o di approfondire un eventuale significato storico e culturale di un evento, ricorrenza, o festa che si presenta apparentemente piacevole.


Con queste caratteristiche possiamo benissimo catalogare il Carnevale dei nostri giorni, che, probabilmente, risale ai tempi degli Egiziani, i quali festeggiavano i loro riti religiosi, cantando e facendo sfilare buoi per sacrificarli al dio Nilo.

Anche al tempo dei Greci si celebrava una festa simile, per ricordare il dio del vino, Dionisio (possiamo immaginare tali svolgimenti, dato che si trattava del dio del vino), arrivando ai “saturnali” dei Romani che, presumibilmente, hanno contagiato la “chiesa cristiana”.

I saturnali duravano circa 7 giorni e, in quel periodo, i romani si lasciavano andare ad ogni tipo di dissolutezza, bevendo e scambiandosi i ruoli, ballando in onore del dio Saturno.


Con questa riflessione, vogliamo evidenziare, in breve, lo spirito (le caratteristiche) del Carnevale, rilevando la gravità e l’immoralità di cui esso è promotore.

Bisognerebbe pure soffermarsi e riflettere su cosa si somministra anche a quei bambini che inconsapevoli accolgono ogni sorta di deliziosa “spazzatura”, perché permessi (anche per ignoranza) dai propri genitori (considerati anche credenti cristiani).


I bambini (che sono abbastanza intelligenti), se comprendessero veramente il significato del festeggiamento del Carnevale non vi aderirebbero molto volentieri, anche per quello che è stato originariamente; purtroppo anche loro subiscono con leggerezza l’influenza dell’ignoranza collettiva.

Molti genitori parlano di perbenismo, di buona educazione, di sani principi morali, della tradizione che accompagna la loro “fede”, ma, proprio in questi, si trova molta incoerenza nella loro vita, adeguando la loro personale valutazione e modo di pensare alla massa corrente e non a quello che insegna la Parola di Dio, base del cristianesimo.

Possiamo definire (giusto in tema) che indossano un vestito di Carnevale.


Non si può stare sempre zitti e dare tutto per scontato davanti a tutta questa superficialità.

Si potrebbe fare di più per estirpare quelle “radici velenose” che sono state trapiantate dentro il cristianesimo: tradizioni nelle tradizioni, che mostrano apparentemente una bella piantina, ma… velenosa.

Il nostro Signore Gesù rilevava nei Farisei i loro difetti e la loro doppiezza, che si manifestava nel loro modo di essere religiosi: una coppa splendente di fuori, ma l’interno pieno di rapina e malvagità (Luca 11:39).


Il nostro Signore Gesù ci mostra anche la realtà in cui stiamo vivendo (di cui il Carnevale è una delle tante e più evidenti), e chiama i credenti a collaborare con Lui per portare la luce della verità in mezzo all'ignoranza e all'ipocrisia.

Anche Dio ha istituito delle feste per il Suo popolo (come possiamo riscontrare nell'Antico Testamento) non per mero divertimento, o per incoraggiare le ubriachezze, le gozzoviglie ed altre cose peccaminose, ma per ricordare e gioire delle Sue liberazioni, per apprezzare la Sua provvidenza e la Sua fedeltà; un’occasione per rallegrarsi e festeggiare con tutto il cuore, in semplicità e senza ipocrisia.

Un mandriano di buoi africano

La storia vera di Mohammed. 

Questa storia è vissuta in Nigeria, a Zaria, un villaggio di etnia Fulani, popolo di pastori e allevatori nomadi. Ad essi si attribuisce l’introduzione e la diffusione dell’Islam nell'Africa occidentale. Tuttavia, insieme all’Islam convivono in quelle terre altre pratiche come l’animismo, lo spiritismo e la stregoneria.

Mohammed racconta la sua storia. 
Secondo l’usanza del mio popolo (i Fulani), dato che ero il più giovane della famiglia, dovevo essere il primo ad alzarmi presto la mattina per svolgere i miei lavori quotidiani: mungevo le mucche, scioglievo i vitellini, perché andassero dalle loro mamme, poi le portavo al pascolo. 

Io amavo moltissimo mio padre e mi piaceva fare tutto quello che lui faceva, perfino quando pregava io pregavo insieme a lui. 
Ero determinato a compiacere mio padre e Dio. 
Questa determinazione cresceva man mano che diventavo grande. 
Intorno ai 14 o 15 anni d’età, feci una richiesta a mio padre, quella di ricevere una buona istruzione, desideravo frequentare una scuola araba per imparare il Corano. 

A mio padre piacque la mia richiesta e mi mandò nella città di Bauchi, dove frequentai la scuola di un certo Sheik Ibreim. 
Per tre anni studiai i principi fondamentali e gli aspetti pratici della religione islamica. 
Poi mi trasferii nella città di Gombe, dove passai due anni approfondendo gli studi sull'Islam per imparare a interpretare il Corano. 

Poi trascorsi altri due anni a Maiduguri, dove continuai i miei studi sul Corano. 
Quando arrivai a Zaria, ero in grado di leggere e scrivere l’Arabo.  
Mi fermai un anno a Zaria per seguire altri studi approfonditi sul Corano (a quel tempo avevo 22 anni). 
Quindi iniziai a cercare un modo per andare in Arabia Saudita perché desideravo seguire gli studi di 
livello avanzato. 

Fu allora che mio padre mi mandò a chiamare.  
Mio padre mi disse che era meglio che restassi a casa, mentre cercavano le finanze per mandarmi a studiare in Arabia Saudita.  
Mi disse anche che sarebbe stato opportuno che mi sposassi prima di partire per un altro paese. 
Rimasi a casa per un anno e ripresi a fare il mandriano.  
Diventai anche la guida spirituale e insegnante della mia comunità.

Un giorno, dopo aver portato il bestiame al pascolo e recitato le preghiere della sera, mentre eravamo seduti a tavola per la cena, mio padre manifestò la preoccupazione per il fatto che non ero ancora sposato. 
Ma io sentivo che la cosa più giusta per me era quella di andare in Arabia Saudita per completare i miei studi islamici prima ancora di sposarmi. 
Dissi a mio padre che volevo conoscere Allah più profondamente: questo era il desiderio del mio
cuore.  
Mio padre rispose: “Non posso certo biasimarti per questa decisione, ma l’Arabia Saudita è molto lontana e tua madre ha paura di non vederti più tornare. Comunque ne riparliamo domani”.

Andai a dormire e quella notte ebbi un incubo: sognai che alcuni individui vestiti di nero mi assalivano, mi inseguivano e mi tormentavano. 
Mi svegliai gridando aiuto. 
Dopo aver fatto quel sogno non riuscii più a dormire quella notte, rimasi seduto sul letto fino al sorgere del sole. 
Pensai di parlare del sogno a mio padre, ma poi lasciai perdere. 
Quella mattina non volli andare da nessuna parte e rimasi a casa. 
 La giornata trascorse e, dopo le preghiere della sera, ci sedemmo per cenare e parlare come facevamo di solito. Dopo ciascuno andò a letto.

Non appena mi addormentai feci di nuovo un sogno: uomini incappucciati mi assalivano, ma all'improvviso una grande luce sfolgorò e quegli uomini fuggirono.
Poi un uomo vestito di bianco venne da me (da lui proveniva quella luce). 
Io ero a terra e l’uomo splendente mi porse la sua mano e mi rialzò. 
Poi mi domandò: “Figlio mio, cosa fai qui?”. 
Risposi: “Non lo so”. Mi domandò ancora: “Vuoi che ti porti a casa?”. Risposi  di  si. 
E così l’uomo vestito di bianco mi accompagnò nel cammino verso casa.  

Prima  di svegliarmi sentii la sua voce  che mi diceva: “Ti amo, figlio mio!”. 
Poi mi svegliai tutto spaventato e sudato, così come era avvenuto per il primo sogno. 
Mi chiedevo chi poteva essere l’uomo vestito di bianco, perché mi aveva soccorso, e perché mi aveva detto quelle parole!? 
Decisi di parlare con mio padre del sogno. 
Quando glielo raccontai la sua reazione fu immediata: “Preparati", mi  disse, "andiamo  dal  dottore  locale” (in  realtà  era  uno stregone). 

Giunti sul posto, lo stregone eseguì un rituale recitando qualche frase, ponendo sulla mia fronte un’oggetto e facendolo girare sulla fronte stessa. 
Poi disse a mio padre: “Tuo figlio è sotto l’influsso di un maleficio delle streghe. Hai fatto bene a portarlo qui altrimenti entro due giorni sarebbe morto”. 
Continuò dicendo: “Adesso ci penso io. Vedi questo?", disse, mostrandogli qualcosa, “strofinalo sulla sua testa prima di andare a letto, poi macina questo e usalo come incenso da mettere di notte nella sua camera. Se piace agli dei, questo terrà lontano i sogni e tuo figlio non ne farà più”. 

Tornammo a casa e poi, quando fu il momento, andai a dormire e tornai a sognare. 
Mi svegliai di soprassalto e andai subito da mio padre a raccontargli quello che mi era successo. 
Gli narrai il sogno dicendogli che stavo per cadere in un grande fosso e degli spiriti maligni si erano avvicinati a me. 
Uno di loro aveva lunghi denti affilati e artigli; mi disse di saltare oltre il fosso altrimenti un leone mi avrebbe ucciso. 
Stavo per saltare oltre il fosso quando è apparso un uomo vestito di bianco.

Allora, mio padre mi domandò: “Un uomo vestito di bianco?. 
“Si", risposi, “lo stesso che mi aiutò nell'altro sogno”. 
“In che modo ti ha aiutato?”, domandò ancora.
“Mi ha chiesto se volevo ritornare a casa e gli ho detto di si”, risposi, “poi mi ha chiesto se volessi il suo aiuto e gli ho detto si, poi ha allungato la sua gamba verso il fosso e il buco si è chiuso completamente. 
Mi ha riportato a casa e mi ha detto che mi amava. Poi è andato via". 

A questo punto mio padre mi domandò: “E gli spiriti maligni?”. 
Risposi: “Quando lo hanno visto sono spariti”. 
Mio padre mi disse: “Torna a dormire adesso, il sogno è finito”. 
“Ma io ho ancora paura, papà!", gli dissi. 
E mio padre: “Perché hai paura di un sogno, figlio mio?”. 
“Papà, non era solo un sogno!”, risposi. 
“Continua a usare la pozione dello stregone", disse mio padre, "e se il sogno si ripresenta, domani andremo da un altro stregone. Va bene? Adesso vai a letto”. 

La notte seguente ebbi un altro sogno, e per sei notti di fila continuai a fare strani sogni.
L’uomo vestito di bianche vesti splendenti era sempre lì presente a difendermi da ogni attacco
degli spiriti maligni. 
Alla fine di ogni sogno mi parlava dicendo: “Ti amo, figlio mio! Ti amo, figlio mio, ti amo!”. 
Fu allora che riconobbi l’uomo del sogno: era il profeta Isa, colui che i cristiani chiamano Gesù Cristo. 
 
Dopo di ciò ebbi l’ultimo sogno definitivo: Camminavo, poi andai a sedermi per terra con le spalle poggiate al fusto di un albero. 
Presi da terra un libro, lo sfogliai e poi lo riposai per terra. 
Poi presi un altro libro da terra, più spesso del primo e cominciai a sfogliarlo. 
In quel momento si avvicinò l’uomo vestito di bianco splendente, il quale mi domandò: “Cosa stai leggendo, figlio mio?”. 
“Non lo so", risposi, "non  riesco  a  capirlo”. 
“Vuoi  che  ti  aiuti?”, mi  domandò. “Si, volentieri”, risposi. 
“Mohammed", mi disse, "questo libro è da parte di Dio, esso contiene l’autentica Parola di Dio, tutti questi versetti sono la Parola di Dio”. 

Continuò dicendo: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed aggravati, ed io vi darò riposo. 
Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore, e in me troverete riposo”. 
“Hai mai sentito parlare della Via, la Verità e la Vita?”. 
“No, mai!”, risposi. A questo punto lui mi disse: “Io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me”. 
Gli domandai: “Chi sei tu?”. “Tu mi conosci come il profeta Isa", rispose.  
Sono venuto per darti la Vita eterna, se mi accetti come tuo Signore e Salvatore, diventerai  un figlio di Dio”. 

Gli domandai: “Dio ha dei figli?”. 
“I figli di Dio sono nati dal suo Spirito", mi disse, "non dalla carne. Credi tu in Dio?”. 
“Si", risposi, "io credo in Dio!”. “Credi anche in me!", mi disse, "in questo mondo avrai tribolazioni, ma fatti animo, io ho vinto il mondo. Vuoi ricevermi nella tua vita?”. 
“Si", risposi, "voglio riceverti”. 
Allora, Gesù mi tese la mano e afferrò la mia mano rialzandomi da terra. 
Qui terminò il sogno. 

Quella mattina decisi di fare visita a Jonathan, un cristiano del villaggio vicino: volevo condividere le mie preoccupazioni con lui perché sapevo che era una brava persona e sentivo che potevo fidarmi di  lui. 
Jonathan ascoltò tutto quello che avevo da dirgli, poi mi fece incontrare con un Pastore il quale, quando mi vide, mi chiese di raccontargli i sogni. 
E così gli dissi che avevo fatto dei sogni terrificanti, nei quali c’erano delle persone vestite di nero che
mi tormentavano, ma in un sogno avevo visto un uomo vestito di bianco che si avvicinava a me, dicendomi di essere il profeta Isa. 
Costui mi ha detto anche che è la Via e che non c’è nessun altra via all'infuori di lui. 
Poi mi ha chiesto di accettarlo nella mia vita”. 

Il Pastore, dopo aver udito il racconto dei miei sogni, mi disse: “Vuoi accettare l’invito che ti è stato fatto nel sogno e mettere la tua fede in Lui?”. 
Risposi di si con un cenno del capo. 
“Allora lascia che ti guidi in una preghiera, per aiutarti a trovare pace, ripeti dopo di me: Io Mohammed, ricevo Isa come mio Signore e Salvatore!”. 

Così accettai Gesù Cristo come mio Signore e Salvatore, chiedendo perdono a Dio per tutti i miei peccati. 
Quando finita la preghiera, aprii gli occhi, sentii una pace e una gioia mai provate prima. 
Tutte le mie paure e ansietà erano andate via, erano rimaste solo pace e gioia. 
Subito sentii lo Spirito di Dio che mi spingeva a tornare a casa per raccontare alla mia famiglia del dono della grazia di Dio che avevo ricevuto e ciò che era accaduto nella mia vita. 

Quando mio padre udì la mia testimonianza e la mia scelta di seguire Cristo, disse: “Che cosa? Forse sto sognando! Mio figlio è diventato cristiano? Il mio figliolo musulmano è diventato un infedele? Qualcuno mi svegli, non lo permetterò!”. 
Una settimana dopo mio padre mi chiamò in giudizio per scoprire cosa fosse successo. 
Si era accorto che leggevo la Bibbia e che non frequentavo più la moschea. 
Mi disse: “È la prima volta che nella nostra famiglia accade una cosa come questa e non deve succedere
mai più! Ti do due possibilità: o rinneghi Gesù o lasci questa casa per sempre”. 

Gli risposi: “Tu sei mio padre, io ti voglio bene e ti onoro, e non vorrei mai fare qualcosa che possa
ferirti, ma continuerò a seguire quella che so di essere la verità. 
Continuerò a essere cristiano finché Gesù mi mostri dove andare”. 
Quando mio padre mi vide determinato nella mia decisione, incitò tutti i miei parenti ad escludermi e a  trattarmi come un cane randagio. 

Passarono molti mesi e un giorno trovai davanti alla porta di casa mia mio padre e con lui c'erano tante altre persone che si erano radunate proprio per me, e uno di loro versò del veleno in una scodella. 
Poi mio padre mi ordinò di bere. 
Io gli domandai: “Padre, vuoi veramente che io beva questo veleno?”. 
“Zitto e bevi!”, fu la sua risposta. 
“Posso chiederti un  favore?”, domandai. 
“Che tipo di favore?”, mi  domandò.  
“Permettimi di fare una preghiera", dissi. 
“No!”, rispose, mentre qualcuno intorno rideva. 
Poi ci ripensò e mi disse: “Va bene, fa pure la tua preghiera”. 

Allora, sollevai in alto la scodella e dissi: “Profeta Isa, tu sai che sto bevendo questo veleno a causa tua; la mia vita è nelle tue mani”. 
Quindi bevvi interamente quella bevanda. 
Poi mio padre mi disse: “Vai a distenderti nel tuo letto”. 
Mio padre e i miei parenti, dopo essersi consultati, avevano deciso che una volta morto, avrebbero gettato il mio corpo nel fiume. 
Stavano tutti fuori in attesa di vedere la mia morte. 

Così entrai dentro e mi addormentai, ma non mi accadde nulla. 
Più tardi mi alzai con una forte nausea, uscii fuori e vomitai, poi tornai nella mia camera e mi  addormentai profondamente. 
Non mi accadde nulla. La mattina seguente fui il primo a salutare mio padre. 
Lui fu molto rattristato per il fatto che non ero morto. 
Immediatamente scrisse un verbale all'autorità islamica incitandola ad arrestare la persona che mi  aveva influenzato a diventare cristiano. 

Il giudice superiore stabilì il verdetto: dovevo essere giustiziato con un colpo di pistola. 
Quella notte stessa mio padre riunì tutti i parenti dicendo loro che io dovevo essere mandato via il mattino seguente; però voleva essere sicuro di una cosa: che quando io me ne sarei andato, dovevo essere seguito, poi fermato e ucciso. 

La mattina seguente mio padre mi chiamò e mi disse: “Vai a vivere dove vuoi e con chi vuoi, ma non tornare mai più a vivere qui con noi”. 
Mi girai per andarmene, ma dopo un attimo mio padre mi disse: “Dammi i pantaloni e le scarpe!”. 
Ubbidii e me ne andai. 
Non feci molta strada quando all'improvviso fui colpito da una freccia avvelenata. 
Caddi a terra contorcendomi dal dolore. 
Il dolore era così forte che stavo per svenire. 
Sapevo che dovevo togliere quella freccia dal mio fianco e che se non l’avessi tirata fuori completamente sarei morto. 

Quando riuscii a rimuoverla iniziai a perdere molto sangue dalla ferita. 
Allora Dio mandò in mio aiuto un cacciatore del villaggio di Jonathan che stava andando a caccia proprio dalle parti di casa mia. 
Costui aveva sentito parlare di me e delle persecuzioni che avevo dovuto sopportare. 
Quindi, mi prese e mi trascinò sulla strada principale, dove subito dopo dopo passò un automobilista, il quale mi portò presso un costoso ospedale della zona, e lì subito fui operato. 

La comunità cristiana del villaggio di Jonathan pagò tutte le spese dell’ospedale e rimasi lì per un mese di convalescenza. 
Dopo andai a vivere nel villaggio di Jonathan, dove rimasi per un anno e mezzo. 
Quando mio padre scoprì dove mi trovavo, lo comunicò alla corte di giustizia islamica. 
Mi presero e così passai sei mesi in prigione, poi fui mandato a casa con una scorta della polizia. 

Appena arrivai al villaggio, mio padre radunò tutti i paesani e li incoraggiò ad essere
gentili con me e a trattarmi bene, in modo da farmi dimenticare la mia fede cristiana, inoltre,
come ricompensa, se avessi rinunciato a Cristo, promise di restituirmi le mie mandrie e di
pagare la dote per tre mogli. 
Promise pure che avrebbe gettato il passato alle spalle. 

Così per sette mesi ripresi a fare il mandriano. 
I miei parenti pensavano che le cose erano tornate alla normalità, ma io sapevo che la mia fede stava morendo lentamente. 
Mi resi conto che mio padre e i miei parenti stavano cercando di allontanarmi dal mio Dio e che dovevo prendere una decisione ferma. 

Un giorno mio padre mi disse: “Vorrei parlarti della donna che sposerai, ho finito tutti i preparativi”. Risposi: “Padre, voglio ringraziarti per tutto quello che stai facendo per me, ma ciò di cui ho bisogno va al di là di una sistemazione e di una moglie”. 
Lui mi domandò: “Qual è questo bisogno, figlio mio?”. 
“Padre", risposi, "il mio è un bisogno che solo Gesù può soddisfare”. 
“Dimmi, cosa ti può dare Gesù che io non posso darti?”. 
“Padre, tu puoi darmi la vita eterna?”. 
Al che mi rispose: “No, non posso”. 
"Allora", gli dissi, “se tu non puoi darmi la vita eterna, io non posso lasciare Gesù”. 

Così andai via di casa e andai a vivere per tre anni a Jos. 
Non rimasi in contatto con nessuno dei miei familiari durante quel periodo. 
Un giorno ricevetti un messaggio da casa: mio padre era in ospedale e voleva vedermi. 
Andai a trovarlo e mi sedetti accanto al suo letto, aveva gli occhi chiusi, lo toccai dicendo: “Padre!”. 
“Figlio mio!”, fu la sua risposta. 
Gli domandai: “Mi hai mandato a chiamare?”. 
Senza indugi mi disse: “Perdonami, figlio mio!”
“Perdonarti?”, domandai meravigliato. 
“Ti ho maltrattato ingiustamente e tu non hai mai detto una sola parola”. 
“Papà", gli dissi, "io ti ho già perdonato da molto tempo!”. 
“Ma io non ti avevo mai chiesto perdono!”,  disse.  
“La Bibbia ci insegna a perdonare”, gli dissi. 

“Figlio mio, aggrappati a questo Dio che tu conosci con tutte le tue forze!”. 
Gli dissi: “Padre, Lui può diventare anche il tuo Dio!”. 
Sorpreso, mi domandò: “Il  mio Dio? Non capisco!”. 
“Cosa  non  capisci,  padre?”. 
E lui: “Quale Dio potrebbe mai accettarmi dopo tutti i peccati che ho commesso?”. 
Risposi: “Egli è un Dio d’amore, ma c’è solo bisogno di una cosa”. 
Mi  chiese:  “E quanto costa?”.
“Nulla”, risposi, "è un regalo!”. “Che tipo di regalo?”, domandò. 
“È un dono fatto per mezzo di Gesù Cristo, suo Figlio”, gli  dissi, "accettalo nella tua vita e lui diventerà il tuo Salvatore e ti darà la Vita eterna. Vuoi accettare questo dono, padre?”. 

“Si", rispose, "vorrei ricevere questo dono”. 
“Allora preghiamo", gli dissi, "ripeti con me: Signore Gesù Cristo, io vengo davanti a te per chiederti di perdonare tutti i miei peccati e di diventare il mio Dio e il mio Salvatore. Amen”. 
Mio padre ripeté le mie parole, poi gli dissi: “Adesso lascia che io preghi per la tua guarigione!”. 
“Non pregare per la mia guarigione, figlio mio”, mi disse. 
“Perché no, padre? Egli è il Dio che ci guarisce”. 
“Io non voglio essere guarito, figlio mio", mi disse, "ora sono pronto per andare ad incontrare Gesù”. 

Dopo tre ore da quella preghiera, mio padre morì, ma il suo cuore era stato riempito di pace e di gioia: egli sapeva che stava andando alla presenza di Gesù.  
La nostra riconciliazione cancellò tutte le sofferenze passate, Dio le spazzò via completamente. 

E tu, caro amico o amica, sei pronto a ricevere il perdono dei tuoi peccati?
Ascolta: Dio è Dio di consolazione e di speranza, Lui è fedele, Dio di verità e giustizia, Egli è la Via, la Verità e la Vita, e solo per mezzo di Lui possiamo ottenere la Vita eterna. 
Preparati a pentirti e a riceverlo nel tuo cuore, lascia che Lui diventi il tuo Signore e Salvatore. 
Sei pronto a pentirti e a ricevere Gesù Cristo come Signore e Salvatore? 
Lui è sempre pronto e ti sta aspettando, rivolgiti a Lui ora!
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